9.06.15

 

palermo

 

architects meet in selinunte

Via Vittorio Emanuele è un segmento di tempo immoto. L’approdo al mare metafora di una condizione di orizzonte. Ma tutto su questa strada è metafora di qualcosa d’altro.

 
Un gabbiano ha perso l’orientamento e saltella sull’asfalto tra le macchine con una specie di perplessità nei movimenti. Come un uomo che non pensi mai che in quell’istante fatale tocchi proprio a lui. Le facciate dei palazzi si susseguono rigonfie di stucchi e fregi turgidi. Come frutti sul punto di scoppiare. Questo tufo giallo e morbido, più morbido della pietra napoletana e più duro dell’arenaria di Siracusa. Palermo mette in mostra la propria nobiltà decaduta. Come una dama che sente sfiorire le sue forme e non può nulla per arrestare la corruzione del corpo. Ma non si dispera. Le basta che qua e là ancora rintracci l’indomita resistenza dell’antica sensualità. E si concede il vezzo di un orpello di lapislazzuli. Sagome di case abbandonate. Muri spaccati. Angoli eviscerati. Monconi di inferriate come arnesi di guerra arrugginiti. Si disegnano ombre sugli intonaci e tra i cavi della corrente. Fai uno sforzo per ricordare se c’è stato un terremoto o una guerra ieri o l’altro ieri senza che tu ne sapessi nulla. Ma ogni cosa resta sospesa in un’aura di atemporalità. Come se gli fosse concesso il privilegio. In un punto che non sai vivi e morti sono la stessa cosa.

 
In un cortile due vecchie mercedes appollaiate come scimmie su gomme schiattate accumulano soltanto polvere. Un lembo di cielo immateriale si adagia sui ballatoi che attraversano lo spazio come trame di racconti. Nel cortile della Biblioteca Centrale una mostra delle neo-avanguardie palermitane. Dal Gruppo 63 all’Antigruppo. Le poesie di Nanni Balestrini. O di Amelia Rosselli. Poi locandine e copertine di libri. Fino al non libro. La sovversività dell’arte nata in questo sud della cultura. Dove si può ribollire. Mi vengono in mente immagini. Mi piace la Sicilia di Bellocchio. E Camilleri non mi piace.

 
Philip Daverio esce da un bar che una volta era una libreria. Fa un buon caffè, l’ho appena bevuto. Porta un abito di lino pieno di righe colorate. Una carrozzella vuota rallenta per un giro. Il cocchiere scuote la testa e prosegue. Molti negozi sono chiusi. Hanno le vetrine vuote e immemori insegne di passate librerie. Un portone è attraversato da striature nere. Forse il fuoco. A ridosso della soglia è cresciuta malerba e qualche mazza d’oro. Sui balconi i vasi di margherite e ibisco. Sorprendo uno strano sguardo estatico nella luce accecante. Ma è il mio.

 
La contaminazione fa parte ineluttabilmente della vita. Il mare laggiù oramai irraggiungibile.

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Un commento

  1. nemmeno a me piace Camilleri. Perchè il suo sguardo non è abbagliato ed estatico, ma è ruffiano.

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