il ciclope

il ciclope

 

Mi piace molto Paolo Rumiz. Triestino, come Claudio Magris. Entrambi scrivono di viaggi. È la città. Con l’acqua che entra fin nella sua pancia e gli orizzonti tagliati dai venti.

 
Rumiz viaggia senza sosta e descrive. E attraverso le cose che vede racconta tutt’altro. È narrazione dell’esistenza.

 
Il ciclope è un faro con il suo unico occhio luminoso uncinato a un’isola innominata. Ancora decisiva per le rotte tra oriente e occidente. Rumiz condivide con l’uomo del faro la solitudine. Quella quotidiana, la più difficile. E ci racconta come in una storia di iniziazione il rapporto con il mare. I venti. Le stelle. Le rocce. Con gli uccelli e gli abissi. I segnali della tempesta in arrivo. O della bonaccia. E poi la memoria. Viatico a mettere fuori tutta la propria intimità (la lanterna di Trieste fa la parte del leone) e la sequenza di rapporti umani che alla fino lo hanno fatto approdare lì. Non ci dice mai dove. Una sorta di protezione di un luogo incontaminato e fuori da ogni ipotesi turistica. Eppure come in un racconto mitologico lascia piccole tracce. Che se le segui e le metti insieme forse riesci a individuare questa sorta di “monte analogo”. Io ci ho provato. Ti fa sentire parte di un piccolo gruppo ancora capace di stanare la mostruosa meraviglia del mondo.

 
Anni fa cercai di intervistare Paolo Rumiz per “d’Architettura”. Ci sentimmo per telefono e lui mi disse: facciamola adesso. Era l’unica possibilità tra un viaggio e l’altro. Io non seppi cogliere a volo l’opportunità. E non se ne fece più nulla

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Un commento

  1. Un vero peccato, bisogna cogliere ogni occasione. Ma non è poi così semplice. Ti ricordo che un giorno potrebbe essere troppo tardi per intervistarmi…ah ah ah! Al di là di questo, ho letto gran parte di quello che poi sarebbe diventato un libro, difatti inizialmente usciva a capitoli su La Repubblica un paio di anni fa, nel periodo estivo. L’ho trovato fantastico sia -ovviamente- per come è scritto sia per il metodo, che si faceva serenamente inseguire dal momento che aveva anche un secondo fine: cercare di far indovinare tramite le sue narrazioni settimanali il posto nel quale si recò.

    Un bel ricordo.

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