IL DOTTOR NO

Ho visto tutti i film di 007 decine di volte. È uno dei miti della mia giovinezza [insieme a Tex e Diabolik, i film western di Sergio Leone e I magnifici sette], resiste anche quando qualche interprete si ingrassa e rammollisce [Roger Moore] e si rinnova. Ho letto pure qualcuno dei libri di Ian Fleming che Adelphi sta ristampando in una bella veste grafica. Ora c’è questo Il dottor No da cui nel 1962 Terence Young tirò fuori il primo film della saga.

 

Leggendo il libro mi capita di fare continuamente il confronto con il film. Il libro è molto fedele fino a un certo punto. Il primo tradimento [del film al libro ovviamente] è Ursula Andress che esce dall’acqua mentre nel libro 007 la vede per la prima volta di spalle ed è nuda. Ma la scena del film è talmente indimenticabile che, malgrado la nudità perduta, registra un punto a favore. Ma quello che cambia totalmente è il prosieguo e l’epilogo. Lo 007 del libro è più umano. Ma il film è più bello. Sean Connery è invincibile come un eroe greco. E poi la raffinata “cattiveria” del Dottor No è già ambientata in un mondo di tecnologie future e la sua morte/sconfitta è plateale come deve essere il climax di un film.

 

Il film è più bello, o forse no. La scrittura di Ian Fleming è precisa moderna e le descrizioni dell’isola di Crab Key al largo delle coste della Giamaica con le paludi le formazioni di mangrovie e i granchi giganti, sono entusiasmanti. Allora, messi da parte libro e film, resta il tema. Tradurre non è soltanto dire la stessa cosa con un linguaggio diverso ma c’è dentro il tradimento e l’invenzione, il completamento o la riduzione. Basta andare a rileggere Umberto Eco. Che titola un suo libro sulla traduzione: Dire quasi la stessa cosa. Ma questa è un’altra storia.

 

007 ci porta lontano.

 

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