la saga di coniglio

 

coniglio

John Updike è un gigante della letteratura. In assoluto, non solo americana. Anni fa avevo trovato un suo libro su una bancarella. S, il titolo. Una roba epistolare. Non mi era piaciuto e mi sono portato dietro questa idea negativa fino a ieri, praticamente.

 

Einaudi sta ristampando la saga di Coniglio. Senza seguire un ordine cronologico. Prima Sei ricco, Coniglio e poi Il ritorno di Coniglio. Ne usciranno altri due. Harry Angstrom si porta addosso il soprannome di Coniglio. Alle spalle ha un grande passato di promessa del basket (Corri, Coniglio, non ancora ristampato). Ed è un irriducibile e inevitabilmente americano medio. Ma direi uomo medio. Come tanti di noi.

Siamo alla fine degli anni settanta. Tra Vietnam e crisi economica. Una moglie, Janice e un figlio, Nelson. Ognuno in qualche modo si fa una ragione della presenza degli altri due nella propria vita. Attraverso allontanamenti e ritorni. Comprensioni e accapigliamenti. Poi c’è una folla di personaggi al contorno. E soprattutto ci sono tutte le utopie e i sogni degli uomini quando si fottono. Ma su tutto, il tono di un uomo (e di una donna perché Janice è un personaggio altrettanto potente) che come le canne al vento si piega continuamente ma non si spezza mai.

 

E vive questa condizione di perdente con lo spirito dei pionieri americani: niente è irreparabile. Così viene fuori una figura (e dei dialoghi, che sono la cosa più bella dei libri) che ha un nocciolo di dignità, piccolo e sotterrato certo, ma sempre riconoscibile.Legandosi al quale si può attraversare le fasi di un’esistenza con l’ironia lieve di chi non ha grandi scopi se non stare a vedere che succede.

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