L’incanto delle sirene

l'incanto delle sirene

Gianni Biondillo non ha certo bisogno del mio (privatissimo) blog. Ma non resisto alla tentazione una volta tanto di invertire i ruoli. Gianni ha pubblicato per primo i miei racconti su Nazione Indiana ed ha recensito e presentato le mie cose.

 
“L’incanto delle sirene” è un bel libro e l’ispettore Ferraro è in forma come ai tempi di “Per cosa si uccide”. Quando ci siamo conosciuti. L’indagine è serrata e l’umanità dei personaggi, cosa che mi sembra la vena più importante, è sempre sottotraccia. Poi si manifesta appieno in un gesto. Una parola. Un pianto. Quasi sempre sono gli umili, un barbone, una puttana, una bambina clandestina, lo stesso Ferraro che da lì proviene, a riscattare la propria condizione e l’ambiente in cui si muovono lottando e sopravvivendo con guizzi di dignità. Solida come il granito. E poi c’è la città. Quella di piazza Gae Aulenti e quella di Quarto Oggiaro. Gianni è architetto e dalla scrittura traspare ogni volta che molla i freni. Prende posizione e non c’è bisogno di dire per quale pezzo di città. Cerca una verità urbana, e questo è chiaro Ma lo fa con la scrittura stessa. Descrivendo luoghi e sensazioni. Entrando negli intervalli delle esperienze più che fronteggiare le stesse. In pratica non fa mai un saggio di architettura, e questa è la forza.

 
Infine, due notazioni. Non manca un passaggio inevitabile a una qualche kebaberia. Quando ci siamo conosciuti mi portò a mangiare in una difronte al Mcdonalds. Facemmo un’intervista registrando la sua voce tra mille frastuoni. Ma fu chiaramnete più una scelta di campo che di gusto.

 
E poi cito: Mimmo mise al centro della tavola un trionfo di mozzarelle. “Questa è roba tosta. Me le porta un amico da Aversa…”

 
Ah, c’è una bellissima scena di sesso. Non mi ricordo di averne lette altrettante nei suoi libri

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