Parole

Parole

Poesie che parlano di attimi quotidiani apparentemente insignificanti. Di quelli che ognuno di noi attraversa senza neanche dargli peso. Tipo un saluto a una amica o un interminabile incanto davanti a una fotografia, cose così. Le Parole che Antonia Pozzi usa sono altrettanto consuete, semplici, prive di rumori. Eppure accade qualcosa. Che ti senti avvolto in una atmosfera di sospensione. E poi ti chiedi se la poesia, ogni poesia umana, non sia proprio lì, in quei momenti fugaci e immemorabili. E che proprio lì avvenga la rara saldatura tra dentro e fuori.

 
Direi una limpidezza dove il racconto dell’ineliminabile dolore del mondo appare intriso di bellezza. Il dolore del mondo dico, eppure Antonia Pozzi parla del suo dolore. La vicenda è nota. L’amore (negato) per Antonio Maria Cervi. Ma le lacerazioni della solitudine e del dolore suscitano per miracolo le ragioni della vita, della memoria, dell’adesione al paesaggio e alla storia.

 
Ma questa è la potenza, che la parola si libra su un altro piano e la vicenda dell’individuo diventa vicenda umana. Il suicidio sembra avere altre motivazioni. Oltre la storia d’amore personale. Nell’insopportabile peso del dis-amore dell’umanità intera.

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