Anche Francesco Forlani è mio amico (leggi blog precedente: Respiri). Ma anche qualcosa di più. Insieme a Gianni Biondillo è tra i responsabili della mia fissazione per la scrittura. Mi ha ospitato sulle pagine di Sud e pubblicato su Nazione Indiana. Mi ricordo poi di un assolato pomeriggio di ferragosto passato su un lido di Scauri col pavimento di cemento polveroso, con Gianni e Francesco (c’era anche Chiara Valerio e Rosaria Capacchione) ed io diedi la notizia fresca fresca che Pironti avrebbe pubblicato il mio Racconti di qui. A chi avrei potuto dirlo per primo se non a loro? Ma Francesco è capace anche di dire (dirmi) che certi pezzi proprio non gli sembrano degni. Questa sincerità fa incazzare ma so bene che è la sua forza.
Manifesto del comunista dandy (miraggi edizioni 2015) è lo specchio del suo autore. Brillante. Irridente. Caustico. Confusionario (gli articoli sono numerati praticamente come capita). Pieno di sovrapposizioni e di deviazioni. Divertente. Intelligente (che per me è la qualità più significativa). Riconoscente ai propri personalissimi riferimenti (che sono di ogni genere). Elegante (avete mai visto come si veste Francesco?). Coinvolgente (tant’è che sto scrivendo inserendo incisi e parentesi come non ho mai fatto).
Eppure. Come già in Parigi senza passare dal via (quando parla della sua famiglia) ci sono dei tratti, una frase o anche una parola o una sola immagine, che per me lettore sono dei pugni nello stomaco. Scarti dell’andamento lieve che sottende il libro. E sono pezzi dove avanza la bellezza della scrittura. Un tono struggente. Una specie di malinconia languida dove perdersi è dolce. Insomma, la sua poesia. Come: “Ho pensato a certe notti di asfalto e cenere, di strade che si bruciano da sole perché veloci anche per un corridore esperto – ma dei binari morti amo la vita che la ruggine rievoca con l’arrivo della locomotiva.”
Bello, no?
Poi c’è un altro motivo per cui questo libro è bello. Ci sono anche io in un paio di pagine.