dentro

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Ho conosciuto Giacomo Sartori in rete. E ci siamo scambiati i nostri libri. In verità lo conoscevo frequentando Nazione Indiana. Dove avevo letto certe sue poesie scarne e altre minuziose in forma di elenchi. Ci siamo incontrati condividendo la stessa idea negativa di Houellebecq (se si può dire senza cadere nel reato di lesa maestà).

 
Dentro, Postcart 2014, è un libro a più voci. Sartori scrive, Luca Coser dipinge, Dario Coletti fotogarfa. Le narrazioni a più voci mi interessano. Come in una cordata i linguaggi si danno una mano. Ma non solo. È come rifondare una propria nuova sonorità.  Sartori scrive del suo lavoro. Cioè: fare buchi nella terra. E quindi, conoscere la terra. Sentire la terra. Amare la terra. E così trasmette a chi legge (che non si è mai applicato a sentire le stesse cose) quanto è straordinario il mondo dei vermi, dei coleotteri, di un aspide. O che la terra può ammalarsi, sfiancata, anemica, intossicata, fino a morire. Oh certo, la terra può morire. E chi legge comincia a pensare. Al colore della terra. Mi vengono in mente immagini che conservo da qualche parte: la terra bruna come le melanzane, la terra scura come i chicchi d’uva, la terra gialla come il tabacco. Alla consistenza della terra. Umida. Secca. Friabile. Al profumo della terra.

 
Questo mi ha suscitato la lettura di Dentro. Le immagini e le fotografie fanno il resto. Fino a scoprire come in un’epopea che è del mondo che stiamo parlando. Ogni pezzo di terra, ogni piccolo lembo di terra se sai guardarlo ti racconta storie. Se sai guardarlo veramente è atlante di mappe e itinerari. E se sai guardarlo ancora di più ne scopri l’essenza dove non c’è. Il dorso della realtà. Oltre l’asfalto. Oltre la protervia dell’uomo.

 
In Racconti di qui ho scritto la storia di uno che cammina guardando solo e sempre per terra.

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